Alcuni strumenti della Governance proprietaria: gli Statuti societari – i Patti parasociali

La Governance proprietaria si occupa dei principi e delle regole che sono alla base della coesione tra i soci e della loro formalizzazione negli Statuti e in altri Accordi. Ridefinisce inoltre le scelte di impostazione complessiva del sistema degli organi di governo dell’impresa e della famiglia/e della coalizione controllante.

I principali strumenti della Governance proprietaria:

➔ Gli Statuti societari;

➔ I Patti parasociali.

Uno degli strumenti mediante i quali i fondatori dell’impresa di famiglia possono assicurare la Governance della società è rappresentato dalle clausole statutarie. Queste ultime molto spesso trascurate e raramente aggiornate. I modelli organizzativi considerati dal legislatore, per i singoli tipi di società, non sono infatti del tutto rigidi e consentono un parziale adattamento alle esigenze specifiche. È necessario però che le clausole, a tal fine introdotte, non siano incompatibili con la disciplina di legge. È opportuno rilevare che le clausole statutarie (ad esempio, in tema di circolazione delle azioni), a differenza dei Patti parasociali (di cui parlerò nel successivo paragrafo), vincolano tutti i soci, presenti e futuri. Nel seguito, illustro esempi di alcune principali regole statutarie, distinguendo quelle relative alla Governance per la tutela delle minoranze da quelle riguardanti la circolazione delle azioni.

Regole relative alla Governance per la tutela delle minoranze

In linea generale, occorre premettere che tali tipologie di clausole hanno due funzioni essenziali, a volte non convergenti: evitare, o quanto meno attenuare, situazioni di stallo e dall’altra tutelare i soci di minoranza

Esse possono riguardare: 

✓ il funzionamento dell’Assemblea

✓ la nomina e i poteri degli amministratori

✓ la nomina e i poteri dell’amministratore delegato

Quanto esposto da qui in avanti farà espresso riferimento alle famiglie imprenditoriali. Tuttavia gli esempi illustrati possono essere indicativi anche di altre situazioni societarie con un elevato numero di azionisti.

 

Quanto esposto da qui in avanti farà espresso riferimento alle famiglie imprenditoriali. Tuttavia gli esempi illustrati possono essere indicativi anche di altre situazioni societarie con un elevato numero di azionisti.

Funzionamento dell’Assemblea soci (alcuni esempi) 

È possibile che il padre, in esecuzione del passaggio generazionale, preveda che la maggioranza dei diritti di voto spetti al figlio più coinvolto nella gestione imprenditoriale. In tal caso, quest’ultimo avrà potere assoluto sulla società, disponendo della maggioranza sia in Assemblea ordinaria sia in Assemblea straordinaria. Qualora si intendano attribuire alcuni poteri anche agli altri figli, si può prevedere nello statuto che, per alcune decisioni, siano richiesti particolari quorum deliberativi rapportati al capitale. È il caso ad esempio delle decisioni per le quali, in seconda convocazione, è necessario il voto favorevole di soci che rappresentino più di due terzi del capitale, decisioni che spettano all’Assemblea straordinaria e, comunque, decisioni di carattere strategico. 

Quali ad esempio: 

✓ modifica dello statuto; 

✓ cessione di partecipazioni rilevanti; 

✓ operazioni straordinarie; 

✓ cambiamento dell’oggetto sociale; 

✓ trasformazione della società; 

✓ trasferimento della sede sociale all’estero; 

✓ ecc… 

Peraltro è il caso di sottolineare che, in base alla legge non possono essere richieste maggioranze, rispetto a quelle previste per l’Assemblea ordinaria, più elevate per l’approvazione del bilancio e per la nomina e la revoca delle cariche sociali.

Più complessa è la situazione nella quale i padri non abbiano pianificato che la maggioranza dei diritti di voto sia destinata a un figlio-discendente, ma gli stessi diritti di voto siano divisi in parti uguali tra figli.

Esempio A (due figli) 

Ciascuno dei due figli detiene il 50% dei diritti di voto. 

In caso di dissidio tra i due figli circa la nomina degli amministratori, il consiglio di amministrazione non può essere nominato e si verifica quindi una situazione di stallo. 

I due figli invece possono nominare un consiglio di amministrazione composto, in parti uguali, da amministratori di fiducia di ciascun figlio (due amministratori, uno per ciascun figlio; quattro amministratori, due per ciascun figlio; sei amministratori, tre per ciascun figlio). 

In caso di dissidio tra gli amministratori di emanazione di ciascun figlio si verifica una situazione di stallo. In questo caso, è anche inutile prevedere quorum deliberativi del consiglio più elevati per alcune decisioni, in quanto gli amministratori di fiducia di un figlio non possono raggiungere da soli tali quorum.

Può allora risultare opportuno attribuire voto doppio al presidente del consiglio di amministrazione, che viene nominato tenendo conto di chi è più attivo in azienda. Tale scelta, naturalmente, è comunque subordinata all’accordo di entrambi i figli.

Esempio B (tre figli)

Ciascuno dei tre figli detiene 1/3 dei diritti di voto. In caso di dissidio tra i tre figli circa la nomina degli amministratori, il consiglio di amministrazione non può essere nominato e si verifica quindi una situazione di stallo, in quanto nessuno dei tre dispone della maggioranza. 

Con i quorum ordinari, due figli (che, insieme, dispongono dei 2/3 dei diritti di voto) possono nominare gli amministratori. 

Non è possibile prevedere quorum deliberativi più elevati, trattandosi di delibera avente a oggetto la nomina delle cariche sociali. 

I tre figli possono nominare un consiglio di amministrazione composto, in parti uguali, da amministratori di fiducia di ciascun figlio (tre amministratori, uno per ciascun figlio; sei amministratori, due per ciascun figlio; nove amministratori, tre per ciascun figlio). 

Gli amministratori di emanazione di due figli (che, insieme, compongono i 2/3 del consiglio di amministrazione) possono amministrare la società mettendo in minoranza gli amministratori di emanazione del terzo figlio. 

È possibile prevedere quorum deliberativi del consiglio più elevati per alcune decisioni. 

Ad esempio, se il consiglio è composto da sei membri, si può prevedere che per particolari decisioni sia necessario il voto favorevole di almeno cinque di essi e quindi anche il consenso di almeno un amministratore di emanazione del terzo figlio. 

In mancanza di tale consenso, si verifica una situazione di stallo. La tutela del socio prevale quindi sulla continuità aziendale.

Nomina e poteri degli amministratori 

Se i padri, in esecuzione del passaggio generazionale, hanno previsto che la maggioranza dei diritti di voto spetti al figlio più coinvolto nella gestione imprenditoriale, quest’ultimo può nominare tutti gli amministratori (oppure l’amministratore unico) in quanto la legge, come già detto, non consente che siano richieste maggioranze più elevate per la nomina degli amministratori. 

In tal caso, è inutile prevedere quorum deliberativi più elevati per alcune decisioni del consiglio di amministrazione (ad esempio: non è sufficiente il voto favorevole della maggioranza ma dei 2/3 degli amministratori), poiché tutti gli amministratori sono stati scelti dal figlio che ha la maggioranza dei diritti di voto. 

Qualora si intenda attribuire qualche potere anche agli altri figli, si possono prevedere nello statuto sistemi di votazione congegnati in modo tale da assicurare anche ai soci di minoranza propri rappresentanti nel consiglio di amministrazione. Ad esempio, vengono presentate due o più liste di candidati: almeno un amministratore deve essere scelto nella lista presentata dai soci di minoranza (cd. “voto di lista”). 

Più complessa è la situazione nella quale il padre non abbia pianificato che la maggioranza dei diritti di voto sia destinata a un figlio, ma gli stessi diritti di voto siano divisi in parti uguali tra i figli.

Si considerino i seguenti esempi.

Esempio A (due figli) 

Ciascuno dei due figli detiene il 50% dei diritti di voto. 

In caso di dissidio tra i due figli circa la nomina degli amministratori, il consiglio di amministrazione non può essere nominato e si verifica quindi una situazione di stallo. 

I due figli invece possono nominare un consiglio di amministrazione composto, in parti uguali, da amministratori di fiducia di ciascun figlio (due amministratori, uno per ciascun figlio; quattro amministratori, due per ciascun figlio; sei amministratori, tre per ciascun figlio). 

In caso di dissidio tra gli amministratori di emanazione di ciascun figlio si verifica una situazione di stallo. In questo caso, è anche inutile prevedere quorum deliberativi del consiglio più elevati per alcune decisioni, in quanto gli amministratori di fiducia di un figlio non possono raggiungere da soli tali quorum. Può allora risultare opportuno attribuire voto doppio al presidente del consiglio di amministrazione, che viene nominato tenendo conto di chi è più attivo in azienda. Tale scelta, naturalmente, è comunque subordinata all’accordo di entrambi i figli.

Esempio B (tre figli) 

Ciascuno dei tre figli detiene 1/3 dei diritti di voto. 

In caso di dissidio tra i tre figli circa la nomina degli amministratori, il consiglio di amministrazione non può essere nominato e si verifica quindi una situazione di stallo, in quanto nessuno dei tre dispone della maggioranza. 

Con i quorum ordinari, due figli (che, insieme, dispongono dei 2/3 dei diritti di voto) possono nominare gli amministratori. Non è possibile prevedere quorum deliberativi più elevati, trattandosi di delibera avente a oggetto la nomina delle cariche sociali. I tre figli possono nominare un consiglio di amministrazione composto, in parti uguali, da amministratori di fiducia di ciascun figlio (tre amministratori, uno per ciascun figlio; sei amministratori, due per ciascun figlio; nove amministratori, tre per ciascun figlio). Gli amministratori di emanazione di due figli (che, insieme, compongono i 2/3 del consiglio di amministrazione) possono amministrare la società mettendo in minoranza gli amministratori di emanazione del terzo figlio. È possibile prevedere quorum deliberativi del consiglio più elevati per alcune decisioni. 

Ad esempio, se il consiglio è composto da sei membri, si può prevedere che per particolari decisioni sia necessario il voto favorevole di almeno cinque di essi e quindi anche il consenso di almeno un amministratore di emanazione del terzo figlio. 

In mancanza di tale consenso, si verifica una situazione di stallo. La tutela del socio prevale quindi sulla continuità aziendale.

Nomina e poteri dell’amministratore delegato 

L’amministratore delegato è nominato dal consiglio di amministrazione. 

Quindi in base a quanto esposto sopra, poiché il consiglio di amministrazione è espressione dell’Assemblea, la scelta è condizionata dagli stessi meccanismi e scelte effettuate dalla famiglia e in particolare dall’imprenditore padre. 

Del consiglio di amministrazione parlerò ampiamente nella seconda parte del libro, qui è opportuno fare soltanto qualche riferimento a quanto potrebbe contenere lo statuto. 

In effetti, è opportuno delimitare nello statuto con precisione i limiti della delega, ad esempio: solo atti di ordinaria amministrazione; atti il cui valore non eccede un determinato importo, ecc… è ciò anche a tutela degli altri figli-soci. 

Per quanto non delegato, le decisioni rimangono di competenza del consiglio. 

Nelle Spa il consiglio di amministrazione non può essere nominato a tempo indeterminato. L’amministratore delegato decade, se non è stabilito un termine più breve, con la scadenza del consiglio di amministrazione che lo nomina. 

Nelle Srl invece, il consiglio di amministrazione, salvo diversa disposizione statutaria, è nominato a tempo indeterminato e l’amministratore delegato rimane in carica fino a revoca. 

Poiché una revoca senza giusta causa comporta l’obbligo della società di risarcire all’amministratore delegato il danno (normalmente pari ai compensi dovuti per tale incarico fino a scadenza) è in ogni caso opportuno (soprattutto per le Srl) indicare la durata dell’incarico.

Clausole riguardanti la circolazione delle azioni-quote 

Nella Governance proprietaria, ed in particolare nelle clausole statutarie, assumono grande importanza i temi relativi alla circolazione delle azioni-quote. La funzione della clausola di prelazione è estremamente significativa nelle società familiari, in quanto, di fatto, limita l’ingresso di soci terzi, subordinandolo al mancato esercizio della prelazione da parte dei soci appartenenti alla famiglia. 

Tale possibilità è espressamente prevista dal codice civile secondo il quale lo statuto può sottoporre a particolari condizioni il trasferimento, anche a causa di morte, delle azioni nominative. 

Sotto alcuni esempi 

Se X e Y detengono ciascuno il 50 per cento della società A e X intende trasferire le azioni o quote di A, X ha l’obbligo di offrirle preventivamente all’altro socio Y. 

Se i soci sono più di due (ad esempio: X, Y, Z) X ha l’obbligo di offrirle agli altri soci pro-quota. 

Nel primo caso (due soci), se Y esercita la prelazione diventa socio al 100 per cento di A, mentre nel secondo caso (tre soci), se Y o Z esercitano la prelazione diventano soci, 50% ciascuno, di A. 

Se uno dei due (o Y o Z) non esercita, la prelazione spetta all’altro.

Presenza di un potenziale acquirente. 

La clausola statutaria può prevedere che la prelazione sia attivabile solo in presenza di un’offerta di un potenziale acquirente, il quale offre ad esempio 1.000 a X per il 50% di A. Y (già socio al 50% di A) ha diritto di acquistare da X il restante 50% di A al prezzo di 1.000. In alternativa, la clausola statutaria può prevedere che la prelazione sia attivabile anche in assenza di un potenziale acquirente; in tal caso, X, se interessato a cedere, può offrire a Y di acquistare il 50% di A al prezzo di 1.000, anche in assenza, come detto, di un potenziale acquirente.

Clausola di gradimento 

Lo statuto può prevedere che il trasferimento delle azioni sia subordinato al gradimento degli organi sociali (CdA o AU) o degli altri soci. Le clausole di gradimento sono di due tipi. 

In un primo caso, il trasferimento può essere effettuato solo a favore di soggetti con determinati requisiti previsti dallo statuto (ad esempio: a non concorrenti). 

In un secondo caso, il gradimento è richiesto per qualunque trasferimento e non deve essere motivato (cd. “mero gradimento”). Ad esempio, se X vuole vendere le azioni a un terzo deve comunque ottenere il gradimento di un Organo sociale o degli altri soci. 

Tale tipologia di clausola è valida a condizione che, in caso di rifiuto del gradimento, vi sia l’obbligo di acquisto delle azioni da parte della società o dei soci, oppure il diritto di recesso del socio alienante. 

A volte, le clausole statutarie prevedono l’utilizzo congiunto di prelazione e gradimento. 

Ad esempio, il socio X offre in prelazione le azioni della società A agli altri soci Y e Z, in presenza di un’offerta di acquisto di un terzo acquirente. Y e Z non esercitano la prelazione. 

In questo caso, la cessione da X al terzo acquirente è comunque subordinata al gradimento degli organi sociali o degli altri soci. 

Si deve trattare comunque di un prezzo congruo, che non tenga conto solo dei valori contabili ma anche di eventuali plusvalori latenti sui beni della società e di un avviamento.

Patti parasociali 

Dalle clausole statutarie vanno distinti i Patti parasociali. Anche questi spesso utili per regolamentare alcune situazioni fra soci familiari e non. 

È frequente che i soci-familiari stipulino Accordi destinati a regolare il loro comportamento nella società o verso la società: ad esempio, si impegnano a effettuare futuri apporti di denaro a titolo di conferimento o di prestito, o a concordare preventivamente il modo in cui voteranno nell’Assemblea della società (sindacati di voto), o a non vendere a terzi le loro quote di partecipazione (sindacati di blocco) in modo da mantenere omogenea la compagine sociale familiare. 

A differenza delle clausole statutarie, che vincolano tutti i soci presenti e futuri (efficacia reale), i Patti parasociali hanno di regola efficacia meramente obbligatoria, vincolano cioè solo gli attuali soci contraenti e non anche i soci futuri, a meno che questi non vi aderiscano espressamente. 

Inoltre la violazione delle disposizioni contenute nei Patti parasociali non incide sulla validità degli atti societari ed espone “solo” all’obbligo del risarcimento dei danni nei confronti degli altri soci. 

Ad esempio, il voto in Assemblea diverso da quanto deciso in sede di sindacato è valido, quindi la violazione non avrà effetto sulla delibera; allo stesso modo, la cessione delle azioni effettuata in violazione del sindacato di blocco è valida. Entrambe le violazioni comporteranno solo il risarcimento dei danni nei confronti degli altri soci. 

I Patti possono essere stipulati in qualsiasi forma. 

Il legislatore ne limita però la durata, al fine di evitare una cristallizzazione delle posizioni di potere. Se stipulati a tempo determinato, essi non possono avere durata superiore a cinque anni (tre per le società quotate), ma sono rinnovabili alla scadenza. 

Se è previsto un termine maggiore, il Patto si intende stipulato per cinque anni (tre anni per le società quotate). 

I Patti parasociali di regola contengono una clausola arbitrale per la risoluzione delle controversie che dovessero sorgere tra i contraenti. 

Come accennato, i Patti parasociali possono istituire sindacati di voto che, di regola, prevedono che i soci si riuniscano preventivamente per decidere insieme come votare nell’Assemblea della società (ad esempio, per la nomina di organi sociali). 

La decisione è normalmente presa a maggioranza e anche i soci dissenzienti sono obbligati a votare nell’Assemblea della società secondo quanto deciso dalla maggioranza dei soci partecipanti al sindacato di voto.

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