La gestione del processo di integrazione
La cattiva integrazione è la principale ragione di fallimento delle acquisizioni. È qui che inizia il vero lavoro.
Comunica dieci volte più spesso di quanto ritieni necessario.
La pianificazione strategica dell’acquisizione
L’accordo è fatto. Il team che ha curato l’acquisizione ha parcheggiato le auto davanti all’ingresso principale. I dipendenti si lanciano occhiate furtive e bisbigliano tra di loro. E poi che cosa accade? L’acquisizione deve produrre i risultati indicati nei fogli elettronici, nei documenti riservati e nei piani del Cda. Dimenticati della brillante strategia pre-accordo, delle estenuanti trattative e delle sapienti indicazioni fornite da quegli astuti consiglieri nel corso della due diligence; la cattiva integrazione è la principale ragione di fallimento delle acquisizioni. È qui che inizia il vero lavoro.
Comunica dieci volte più spesso di quanto ritieni necessario.
Le imprese acquirenti devono avere un piano di comunicazione predefinito che rifletta gli obiettivi dell’operazione e illustri la situazione dell’azienda acquisita.
La prospettiva di un takeover genera stress, insicurezza e voci prive di fondamento; i messaggi vengono fin troppo facilmente fraintesi e le voci incontrollate si diffondono a macchia d’olio.
Supponiamo, per esempio, che venga convocata in mensa una riunione di reparto: ci sono 90 sedie per 110 persone e subito qualcuno ne deduce che ci saranno 20 esuberi. Una comunicazione chiara, rapida e coerente è fondamentale. I venditori saranno felici del cambiamento, ma il management, i dipendenti, i clienti, i fornitori e gli altri stakeholder non lo hanno chiesto e si aspettano tutti quanti il peggio.
Oltre a essere ripetuti in continuazione, i messaggi chiave vanno corroborati da azioni concrete. Quando si fa comunicazione all’indomani di un’acquisizione, due regole fondamentali sono: niente trionfalismi e niente promesse a vuoto.
Stabilire una leadership chiara fin dall’inizio.
L’integrazione di un’acquisizione richiede una leadership chiara e forte. Dovrebbe esserci un unico capo. In questo modo c’è un solo punto di riferimento, un solo centro di responsabilità e un solo responsabile delle decisioni. Le posizioni andrebbero assegnate in base ai meriti e alle capacità; in questa fase non c’è spazio per le caramelle e la ricerca di consenso.
Realizzare i cambiamenti in tempi brevi.
Altre due regole auree dell’integrazione sono: attuarla in grande stile e attuarla in fretta. Il cambiamento è atteso e l’incertezza continua a crescere finché non viene realizzato. Ci saranno delle decisioni impopolari e ci saranno degli errori, ma è sempre meglio implementare i cambiamenti essenziali che tentennare e alimentare l’incertezza.
Il Post acquisizione e il successivo sviluppo
Dopo l’eccitazione della caccia, la soddisfazione immediata dell’acquisto e i primi cento giorni dedicati ad assumere il controllo della nuova realtà, subentra il lavoro analitico e spesso tedioso che occorre per sfruttare i benefici dell’acquisizione. Le due aziende vanno fuse in una nuova organizzazione con una direzione strategica comune e una filosofia comune. Ciò può richiedere facilmente anche tre anni.
Assicurati che i cambiamenti siano adeguati.
Di fronte alle esigenze di chiarezza nella leadership e nella comunicazione, e di un’azione rapida ed efficace, bisogna chiedersi se l’acquirente è certo che i cambiamenti in progetto siano effettivamente destinati a rafforzare il business. Un approccio standardizzato o rigido all’acquisizione può portare al disastro.
Non ignorare le differenze culturali.
Un’integrazione efficace presuppone che si lavori fianco a fianco. Quando le culture sono in contrasto, o l’acquirente si fa prendere dalla “sindrome del vincitore”, subentrano dei problemi. Aziende che operano nello stesso mercato possono avere delle culture profondamente diverse. In tal senso anche le differenze nazionali sono una ricca fonte di divergenza culturale.
Uno dei problemi tipici delle acquisizioni è che sono ancora il terreno elettivo di avvocati e commercialisti. Questi professionisti lavorano su aspetti “hard” come i contratti e i bilanci, ma è la corretta gestione degli elementi “soft” — cultura e management — che offre le maggiori opportunità di successo nell’integrazione, e quindi le maggiori prospettive di successo dell’acquisizione.
Gli acquirenti devono capire le culture e gestire di conseguenza. Due aziende dalle culture profondamente dissimili non si possono semplicemente appiccicare insieme.
Non ignorare i clienti.
I clienti sono quelli che pagano le fatture, ma troppo spesso vengono relegati in secondo piano perché gli acquirenti cadono nella trappola di concentrarsi esclusivamente sulla riorganizzazione interna. Si dimenticano che i clienti non fanno necessariamente i salti di gioia quando vengono a sapere che il loro fornitore è stato acquisito; e non stanno ad aspettare che l’acquirente venga a spiegare loro le virtù del suo nuovo e meraviglioso prodotto. Pensano immediatamente agli incrementi di prezzo, o a prospettive ancora più fosche. Poi, proprio in quel momento, il rappresentante di un’azienda concorrente li contatta per prendere un appuntamento.
L’acquirente deve mettere i clienti al centro dell’acquisizione. Il piano di integrazione deve perciò tenere accuratamente conto dei loro bisogni: significa preoccuparsi di come saranno serviti e di chi comunicherà con loro. Anche se continuano a essere serviti nello stesso modo, i clienti potrebbero essere scettici sui benefici che deriveranno loro dal cambiamento di proprietà. Se il loro punto d’interfaccia si modifica o le loro condizioni commerciali vengono alterate, si metteranno immediatamente sulla difensiva e saranno più sensibili agli approcci di altri fornitori.
Non ignorare il core business.
Nel corso dell’acquisizione, l’attenzione del management si sposta naturalmente sull’azienda da acquisire. Intanto, il core business dovrebbe andare avanti normalmente. Ciò può accadere solo se l’acquirente ha predisposto un piano ben preciso per la gestione del proprio business contestualmente ai pro- cessi di acquisto e integrazione di altre aziende, che sottraggono inevitabilmente risorse.