Quanto vale la tua azienda?
Tutte le imprese investono costantemente su asset che rimangono per lo più nascosti e non trovano neanche rappresentazione nel bilancio aziendale. Sempre più, infatti, gli asset fisici come capannoni, magazzini e macchinari rappresentano solo una parte delle attività che l’impresa mette in campo per competere. E quindi sono solo una parte del valore dell’azienda che un potenziale partner industriale e finanziario deve guardare per valutare la bontà di quell’azienda.
Richiedi un confronto con il mio teamCome valorizzarla verso potenziali investitori?
Tutte le imprese, e ancor più quelle a base famigliare, per il loro naturale orientamento al lungo periodo e per la loro spasmodica attenzione ad alcuni specifici valori, investono costantemente su asset che rimangono per lo più nascosti e non trovano neanche rappresentazione nel bilancio aziendale. Sempre più, infatti, gli asset fisici come capannoni, magazzini e macchinari rappresentano solo una parte delle attività che l’impresa mette in campo per competere. E quindi sono solo una parte del valore dell’azienda che un potenziale partner industriale e finanziario deve guardare per valutare la bontà di quell’azienda.
A ben vedere misurare questi asset consente di valorizzare meglio il capitale da cedere a terzi. Infatti, se opportunamente sbloccati e inseriti in una strategia proattiva, tali asset potrebbero for- nire un forte impulso all’arsenale competitivo di cui l’azienda dispone, anche per rendersi più interessante agli occhi di un investitore.
Come può un’azienda identificare e rappresentare il valore prodotto dai suoi asset intangibili?
Servono specifiche linee guida che supportino l’impresa nel misurare e comunicare il proprio Capitale Intangibile, catalogando e riclassificando questi asset all’interno di uno schema costituito da 4 pilastri.
1. Il Capitale Relazionale
È l’insieme di tutti gli asset relativi al portafoglio di relazioni di cui l’impresa dispone in via esclusiva e da cui può trarre un vantaggio competitivo, come per esempio i clienti e il mercato, la rete vendita e i canali di distribuzione, i fornitori strategici.
2. Il Capitale Umano
È l’insieme degli asset relativi alle risorse umane che lavorano o collaborano con l’impresa e che generano un vantaggio. A titolo d’esempio: la qualità delle risorse umane con le loro competenze specifiche e trasversali, le motivazioni delle risorse umane, lo stile di leadership dell’impresa.
3. Il Capitale Organizzativo
È l’insieme di tutti gli asset relativi alla struttura organizzativa dell’impresa, che prescindono dalle risorse umane e che contribuiscono a generare un vantaggio competitivo esclusivo e duraturo, per esempio: le caratteristiche del sistema di governance, il controllo della struttura organizzativa, l’insieme delle procedure aziendali, i sistemi di gestione e di condivisione del know-how.
4. Il Capitale Intellettuale.
È l’insieme degli asset relativi al patrimonio “intellettuale” dell’impresa che le conferisce un vantaggio competitivo e che può essere tutelato con specifici strumenti. A titolo d’esempio: i brevetti sviluppati e depositati, i marchi creati e registrati, i diritti d’autore e ancora le licenze, le concessioni e le autorizzazioni. Misurare questi asset consente di meglio valorizzare il capitale da cedere a terzi.
Aprirsi all’ingresso di nuovi partner.
L’ingresso di un nuovo partner, che sia industriale o finanziario, richiede da parte dell’imprenditore la disponibilità a condividere o in alcuni casi a perdere il controllo della propria azienda.
Questo passaggio non è semplice né scontato. Mai. Soprattutto nelle imprese a carattere familiare e, a maggior ragione, in quelle che non si trovano in una situazione di difficoltà avanzata.
Nonostante ciò, la mia esperienza testimonia la sempre maggiore apertura da parte dei leader fondatori o dei discendenti alla valutazione di questa opzione, supportata dalla crescente consapevolezza che la loro impresa da sola non è più in grado di:
- accelerare la crescita e lo sviluppo nei mercati internazionali;
- realizzare piani di investimento robusti;
- competere con concorrenti sempre più aggressivi e strutturati;
- aumentare l’efficienza dei propri processi interni;
- attrarre talenti e offrire percorsi di carriera interessanti;
- ridurre i costi e migliorare le marginalità;
- irrobustire gli equilibri patrimoniali e finanziari.
Compreso dunque che per raggiungere nuovi obiettivi, come quelli sopra citati, la strada giusta deve necessariamente indirizzarsi verso la ricerca di partner esterni, il nemico che si staglia all’orizzonte ha un nome ben preciso: improvvisazione.
Come contrastare l’improvvisazione che può attanagliare i processi di trasformazione strategica dell’azienda? La risposta si chiama “metodo”: non si può avviare la ricerca di un nuovo partner senza seguire e applicare un metodo strutturato. O meglio, lo si può fare ma spesso e volentieri porta a esiti disastrosi.
È importante tenere a mente però che solo all’apparenza la ricerca di un nuovo partner sembra essere un percorso lineare e standardizzato. In prevalenza non lo è, anzi nelle mie esperienze, e nonostante io abbia messo a punto un processo strutturato, ho spesso dovuto trovare soluzioni articolate e originali. E questo perché ogni operazione straordinaria fa scuola a sé.